Il coefficiente di capitalizzazione delle Pensioni
Sai quanto cresce ogni anno la tua pensione pubblica?
Come abbiamo approfondito in precedenti articoli su Bias e la finanza comportamentale Daniel Kahneman, lo psicologo premio Nobel per l’Economia nel 2002, spiega che il nostro cervello applica due diversi modi di pensare: uno veloce e uno lento.
Il pensiero veloce ci aiuta a prendere decisioni rapide, senza pensarci troppo, magari basandoci sulle emozioni. Utile quando dobbiamo risolvere problemi immediati, consuma anche poca energia.
Il pensiero lento, invece, è quello che ci serve per ragionare sul futuro, prendere decisioni più ragionate e strategiche. Ha bisogno di tempo, e di tanto dispendio energetico.
Ogni giorno ovviamente usiamo un mix di entrambi i sistemi: uno per reagire al presente, l’altro per pianificare il futuro. Funzionano meglio insieme, come due occhi. Se chiudessimo l’occhio che guarda vicino, rischieremmo di inciampare a ogni passo. Se invece chiudessimo l’occhio che guarda lontano, il futuro potrebbe sorprenderci in modo spiacevole.
Ora, proviamo a usare l’occhio che guarda lontano e a pensare a qualcosa di specifico: il coefficiente di capitalizzazione delle pensioni.
Che cos’è? È il valore che viene utilizzato per rivalutare i contributi che si accumulano per la pensione, e dipende dalla crescita dell’economia italiana (PIL).
Perché è importante? Perché incide direttamente su quanto sarà la tua pensione in futuro.
Il coefficiente di capitalizzazione delle Pensioni
È quel valore che, nel sistema contributivo, viene utilizzato ogni anno per rivalutare l’ammontare dei contributi accumulati (detto anche montante contributivo) dai lavoratori.
Ai contributi che i lavoratori e/o i datori di lavoro versano ai vari Istituti previdenziali viene riconosciuta una rivalutazione annuale collegata all’andamento medio a 5 anni delle variazioni del Prodotto Interno Lordo italiano. Il coefficiente di capitalizzazione è, quindi, uno dei fattori che incide di più, al pari della carriera lavorativa e dell’età di pensionamento, sull’entità dell’assegno che sarà erogato al futuro pensionato.
Questo tipo di rivalutazione incide soprattutto sui giovani, o comunque su tutti coloro che sono entrati nel mondo del lavoro dopo il 1995, che sono obbligati per legge a calcolare la loro pensione con il sistema contributivo.
Se l’ultimo dato disponibile, applicato dal 1° gennaio 2024 ai contributi versati al 31/12/2022, è pari al 2,3%, i dati degli ultimi anni sono in generale abbastanza allarmanti.
Ahimè hai letto proprio bene!
Negli ultimi 20 anni il tasso medio è stato pari all’1,80% (rispetto all’8,56% dell’intero periodo). Negli ultimi 10 anni, invece, i nostri contributi pensionistici si sono rivalutati ad un tasso medio annuo pari allo 0,96%. Questo perché la crescita del PIL italiano è scesa vertiginosamente e così di conseguenza la sua media a 5 anni.
Tutti intuiamo che il valore degli ultimi 10 anni è estremamente basso, ma vi mostriamo l’impatto reale con mostrandovi un calcolo più esplicito.
1 euro accantonato ogni anno e rivalutato all’1% all’anno nel tempo produrrebbe:
dopo 10 anni un capitale rivalutato pari a 10,57 euro (10 euro versati da te e 0,57 euro prodotti dalla rivalutazione);
dopo 20 anni un capitale rivalutato pari a 22,24 euro (20 euro versati da te e 2,24 euro prodotti dalla rivalutazione);
dopo 30 anni un capitale rivalutato pari a 35,13 euro (30 euro versati da te e 5,13 euro prodotti dalla rivalutazione).
Se lo paragoniamo ad esempio al 3% del tasso di rendimento medio annuo, negli ultimi 10 anni, dei fondi pensione aperti bilanciati, il valore ottenuto risulta ancora più striminzito, no?
Infatti:
1 euro accantonato ogni anno e rivalutato al 3% produrrebbe:
dopo 10 anni un capitale pari a 11,81 euro (10 euro versati da te e 1,81 euro prodotti dalla rivalutazione)
dopo 20 anni un capitale pari a 27,68 euro (20 euro versati da te e 7,68 euro prodotti dalla rivalutazione);
dopo 30 anni un capitale rivalutato pari a 49,00 euro (30 euro versati da te e 19,00 euro prodotti dalla rivalutazione).
Questa semplice raccolta di dati, oltre che allarmarci sull’ammontare delle nostre pensioni future, è l’ennesima dimostrazione dell’importanza di diversificare globalmente i propri investimenti.
Ora, purtroppo, tutti sappiamo di non avere alcuna possibilità di incidere sull’allocazione e sulla rivalutazione dei nostri contributi pensionistici pubblici. Questi, infatti, sono stabiliti per legge e non sono realmente accantonati in alcuna forma di investimento; servono solo a pagare le quote delle persone che in pensione oggi lo sono già.
D’altro canto, non possiamo aspettarci molto dalla crescita economica italiana nel prossimo futuro perché essa dipende dalla demografia, dal numero persone in età lavorativa (15-64 anni), e dalla produttività.
Negli ultimi 20 anni a tal proposito l’Italia ha perso circa 3 milioni di lavoratori nella fascia d’età tra i 25-49 anni.
Cosa possiamo fare per tutelare le nostre finanze future?
Una mossa è decidere di mettere al lavoro il resto del nostro patrimonio con la consapevolezza che oltre alla qualità delle allocazioni, molto importante è anche la quantità, ovvero la porzione di patrimonio investito rispetto al patrimonio disponibile.
Tu conosci qual è la percentuale di patrimonio realmente investito sul totale del tuo patrimonio disponibile?
Se conosci la risposta a questa domanda significa che sei già a buon punto, e che sai tenere vigile e aperto l’occhio strategico che guarda lontano.